Quarta tappa di #Teatroaporteaperte direttamente da… casa nostra con incursioni e contributi video di Garofoli/Nexus, Claudia Salvatore, Daniele Casolino e Giovan Bartolo Botta! Un’ora di letture, performance, collegamenti e approfondimenti culturali in diretta streaming per elaborare l’emergenza in occasione dell’entrata in vigore…dell’ora legale!
Per non mollare la presa col pubblico del Quadraro, la diretta verrà trasmessa anche dalla pagina di Detriti e del Csoa Spartaco.
Per vedere lo streaming sintonizzatevi alle 18:30 su questo evento o sulle pagine:
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PROGRAMMA [in progress]:
– L’oroscopo di Giovan Bartolo Botta.
– Claudia Salvatore eseguirà due inediti (work in progress);
– Daniele Casolino proietta “IstitVto LVcciole”;
– Nexus propone la sua rubrica #Pandemiart (performance d’artista a diffusione virale) e il cortometraggio “R.O.M.”;
– Letture e monologhi a cura di Laura Garofoli e Claudia Salvatore
COS’E’ #TEATROAPORTEAPERTE?
Un’iniziativa in cui Invitiamo artisti o compagnie che vivono sotto lo stesso tetto a svolgere letture, performance e altre forme di spettacolo e trasmetterle in diretta streaming dal proprio domicilio con l’hashtag #teatroaporteaperte.
Il 6 marzo, seguendo la raccomandazione ministeriale di promuovere attività alternative rispetto a quelle interdette, avevamo proposto di organizzare piccoli spettacoli domiciliari e training autogestiti all’aperto nel rispetto delle norme vigenti. Non ci aspettavamo che in soli 4 giorni si emanassero 3 Dpcm che proibissero progressivamente ogni forma di socialità. Perciò, nel rispetto della nuova normativa, abbiamo cambiato responsabilmente rotta. Il nostro orientamento però rimane lo stesso: battiamo i denti ma non chiudiamo i battenti. Non potendo aprire le porte fisiche, apriamo quelle ethernet (un altro modo per intendere #teatroaPorteaperte) perché crediamo nel potere taumaturgico del condividere e fare cultura, a maggior ragione quando si vive in regime di isolamento. Certo, «Il teatro senza pubblico» – direbbe Grotowski – «nun se po’ sentì!». La nostra non è una proposta risolutiva, ma una soluzione lenitiva per attivare forme di resistenza alla gestione emergenziale della pandemia.
Sì, perché dopo gli appelli condivisi a stron battuto sulla necessità di «starsene a casa» senza sé e senza ma come «responsabilità individuale» di ogni cittadino, sta guadagnando lentamente strada il concetto old-school, ma ben più solidale, di «resistenza». Come scrivevamo il 6 marzo, la retorica dell’auto-isolamento asservito alla norma di stato non ci convinceva e infatti non ha retto. Non ha retto sui social, scatenando aggressività, fake news, delazioni, invocazioni all’autoritarismo e ipocrisie, prima fra tutti quella dei vip dai conti in banca milionari, che diffondevano l’hashtag #iostoacasa dallo sfarzo delle loro ville fuori città. E infatti non ha retto chi è tornato a casa per paura di passare la quarantena isolato dalla famiglia o in cinque sotto a un gabinetto. Non hanno retto i carcerati e carcerieri, isolati ma accalcati senza tutele sanitarie. Non hanno retto i lavoratori e lavoratrici che avrebbero voluto stare a casa ma la legge imponeva loro di non farlo: pendolari ammassati su carri bestiame ferroviari e operai stretti fra le maglie della catena di montaggio, ma anche fattorini, riders e magazzinieri che per «necessità imposta» continuavano a servire colossi come Amazon o Just Eat per garantirsi almeno un piatto di lenticchie. Non ha retto il governo (che prima chiude le scuole poi i centri anziani, prima i teatri poi i risto-pub), governatori e sindaci (che, come De Luca in Campania, minacciano di «neutralizzare» chi passeggia e , come a Bari, chiudono i parchi con fare sceriffesco) e di conseguenza non hanno retto e non reggeranno le forze dell’ordine (che si trovano a maneggiare con sempre maggior autoritarismo istruzioni terminologicamente e giuridicamente contradditorie, e a discrezione personale multano i piccoli commercianti per vendita di articoli proibiti, ma non i supermercati zeppi di merci inutili). E non abbiamo retto noi, che già vivevamo isolati nelle baraccopoli e in alloggi di fortuna, nelle case famiglia o nelle famiglie incasinate, nei seminterrati e nei casermoni popolari senza Netflix e wi-fi, e che in casa – altro che vacanza! – giorno dopo giorno ci scopriamo rinchiusi in un dedalo di oppressione fisica e mentale.
Occorre resistere alla pandemia, ma soprattutto resistere all’emergenza costruita sul pericolo della pandemia. Un pericolo reale, ma che si è corazzato di realismo politico. Perché disporsi in attesa non si traduca in attendere le disposizioni. Perché l’ingiunzione a restare, non diventi ansia da stazionamento. Essere vigili, non vigilantés, in uno stato d’emergenza che sta velocemente (e incongruentemente) sospendendo e riconfigurando diritti ritenuti inviolabili e potrebbe farlo ancora, e meglio. Resistiamo all’epidemia (stando a casa a leggere, disegnare, guardare film e chattando con amici e parenti) ma resistiamo all’emergenzialità esercitando il nostro diritto di lotta e critica al potere, affinché il conto di questa emergenza non lo paghino solo i morti ma anche i sopravvissuti del piano terra della scala sociale. Per farlo non c’è una ricetta: ognuno può farlo a modo suo, noi lo facciamo col teatro.
«I’m a fuckin dreamer, man… but i’m not the only one».
Garofoli/Nexus
Roma, 15/03/2020