C:\> dir_
05/03/2020 - annullato debutto presso Teatro India…
08/03/2020 - chiusi laboratori per bambini, adolescenti e adulti;
09/03/2020 - sospesa rassegna al centro sociale;
10/03/2020 - sospeso gruppo di training autogestito;

Rebooting your system, one moment please...
TO RESTART YOUR COMPANY, press ENTER
Enter
C:\>_

A distanza di oltre un mese dal rebooting della nostra compagnia, urge bilancio. Per noi che lavoriamo sull’intreccio fra creazione artistica, socialità e formazione attraverso teatro, danza e “media art”, infatti, la lotta si è subito articolata su diversi fronti. Prima di tutto abbiamo pubblicato un comunicato stampa dove (seguendo anche i ragionamenti qui su Giap) mettevamo in guardia su due approcci a nostro avviso poco convincenti che vedevamo profilarsi nel mondo teatrale: quello della rivendicazione corporativa e quello dell’asservimento all’#iorestoacasa (Qui il testo completo).

Poi siamo passati ai fatti e, a distanza di un mese, con le vele del reddito tristemente ammainate, possiamo dire che la compagnia prosegue la sua rotta! Con #teatroaporteaperte abbiamo avviato un piccolo format di varietà teatrale trasmesso in diretta dalla nostra pagina Fb e poi da quella del centro sociale Spartaco. Il format propone pillole di monologhi e performance registrate ma commentate in diretta con gli autori, intervallando rubriche artistiche e satiriche a interventi più politici o informativi. Per farlo ci siamo dotati di un programma di regia live che ha trasformato il salotto in uno studio televisivo ma che – a nostro avviso – ci aiuta a rendere le immagini (ontologicamente differite) più presenti e vive. Lo scopo è riproporre i principi di teatro popolare, conviviale, indipendente e “stiloso” della rassegna di quartiere che gestivamo, partendo appunto dal territorio ed estendendola a chi è più lontano. Lungi dal proporre un modello, dal 6 marzo suggeriamo a tutti/e di sperimentare forme “taumaturgiche” di teatro in rete per rimanere vigili e non vigilantes, raccontare, raccontarsi e scenarizzare l’emergenza. Mentre in molti dell’ambiente accusavano quelli come noi di narcisismo e ansia da prestazione, alcuni nostri colleghi si sono uniti alla combriccola, e il live è stato inserito all’interno di #ResistenzeContagiose, iniziativa di solidarietà dal basso coordinata dalla rete Cinecittà Bene Comune e composta da servizi gratuiti di consegna spesa, beni di prima necessità, sostegno legale e contributi culturali come il nostro.

Nel frattempo si sono riattivati anche i laboratori: quello degli adulti che ora si svolge on-line tramite esercizi di dizione e scrittura creativa guidati dalla mia partner-in-law Laura Garofoli (che ha davvero colto l’occasione per fare ricerca teorico-pratica sul rapporto fra media e teatro sociale) e quello dei bambini. In questo caso ci siamo coordinati con altre compagnie fra Lecce e Moncalieri e abbiamo pensato a una serie di contenuti da condividere settimanalmente nella piattaforma del progetto nazionale Storie Cucite a mano in cui siamo inseriti. Purtroppo questi contenuti non ci hanno permesso di ristabilire un vero e proprio “contatto” con gli alunni e gli insegnanti delle nostre scuole romane. L’idea era quella di proseguire i laboratori già avviati proponendo in video giochi sulla gestione delle emozioni e guide alla recitazione basate sui personaggi di Romeo & Giulietta ma… «non si può: dobbiamo dare priorità alla didattica», ci hanno risposto alcuni insegnanti.

 

E qui ci è balzata all’occhio la lotta eminentemente politica che bisogna condurre parallelamente a quella artistica e che nel “lavoro” trova il suo punto di convergenza. Finché non scioglieremo i nodi sul senso della cultura (cultura è… produzione o mantenimento del bene culturale? È spettacolo o intrattenimento? È risorsa territoriale o attrazione turistica? Upgrade cognitivo o vezzo intellettuale?); non porteremo all’attenzione i nervi scoperti del sistema produttivo (grandi compagnie che accedono al Fus tramite date subappaltate a piccole compagnie che, di rimando, risparmiano denaro ma non accrescono i curricula; spazi sociali che offrono spazio prove ad artisti che, a prodotto finito, vengono “comperati” dai grandi teatri) e non prenderemo di petto la già citata questione del riconoscimento come classe di lavoratori e lavoratrici a tempo indeterminato (nel senso di “tempi-non-determinati” poiché diluiti in tutte le dimensioni dell’esistenza, imposti dall’intermittenza della committenza, ecc.), queste situazioni saranno destinate a tornare e acuirsi nella famosa “fase 2” dell’emergenza. Non basterà riorganizzarsi per recuperare le date o le produzioni perdute. Perché, nell’ambiente lo sappiamo tutte e tutti, i soliti noti torneranno ad essere ancora più noti, le relazioni di potere fra direttori artistici e istituzioni saranno mantenute, l’accesso ai finanziamenti sarà sempre per pochi.

Un esempio: noi, che pur campiamo solo di questo, siamo esclusi dall’indennizzo come lavoratori dello spettacolo perché non abbiamo sufficienti giorni lavorativi dichiarati. Ne servono almeno 30, noi arriviamo a 22. Perché? Perché per “giorno lavorativo”, nove volte su dieci, i contributi vengono versati solo sulle date dello spettacolo non sulle prove o il backoffice (scrittura, ricerca, regia, riunioni, training). Durante l’anno avevo partecipato a una produzione internazionale svolgendo prove per una settimana e andando in scena 2 serate a paga minima (circa 70 € lorde). Pur avendo firmando regolare contratto, per l’Inps anziché 9, ho lavorato appena 2 giorni… but I’m not the only one! 😉

Se il “sottobosco” del teatro italiano, quello fatto da compagnie e teatri indipendenti e non amatoriali che lavorano a stretto contatto con i territori, li sentono pulsare e li trasformano e – a volte – ne pagano anche le conseguenze con furti, mancanze di tutele e sgomberi, se quel sottobosco non si fa sentire sarà dura. Credo che la crisi da “distanziamento fisico” che si sta già manifestando, ci dia l’opportunità per rilanciare questo tipo di teatro, sgonfiando quell’altro teatro che si è trincerato dietro i grandi palchi, gli abbonamenti o i festival usa-e-getta. Per farlo bisognerà riprendersi prima di tutto le strade, poi i palcoscenici: perché è lì che si intercettano reali contraddizioni del reale e perché le strade vuote, storicamente, non hanno portato a mai nulla di buono. E perché il tempo dell’attesa non è finito, perché non è mai iniziato. Poi occorrerà essere presenti sul territorio e per il territorio, attivarsi, sporcarsi le mani e rizzare le antenne. E ci vorrà cooperazione e curiosità reciproca (fra teatranti ma anche fra settori culturali) per resistere e non mollare al primo bau bau. Il teatro, diceva qualcuno, è lo spazio della «qualità delle relazioni» e se ci impediranno di relazionarci alla luce del sole, saremo pronti a lottare. A lottare per un teatro clandestino.

Nexus

16/04/2020