Teatroaporteaperte / 25 Aprile +1 edition Con incursioni e contributi video di: Laura Garofoli (attrice), Claudia Salvatore (attrice), Daniele Casolino (musicista/performer), Giulia Francia (attrice/performer), Giovan Bartolo Botta (attore/ultras teatrale), Nexus (performer), Barbara Caridi (performer), Emiliano Valente (attore), Chiara Salvati (danzatrice).
L'evento è sostenuto da #ResistenzeContagiose, ciclo di iniziative solidali promosso dalla rete Cinecittà Bene Comune e verrà trasmesso sulla pagina Detriti, la rassegna teatrale autogestita del Csoa Spartaco.
Per partecipare al live sintonizzatevi alle 18:30 su questo evento o sulle pagine:
Garofoli/Nexus
Csoa Spartaco
Detriti
Ctrl+P / Performer's training group
***
COS'E' #TEATROAPORTEAPERTE?
Un'iniziativa in cui Invitiamo artisti o compagnie che vivono sotto lo stesso tetto a svolgere letture, performance e altre forme di spettacolo e trasmetterle in diretta streaming dal proprio domicilio con l'hashtag #teatroaporteaperte.
COMUNICATO del 16/04/2020
A distanza di oltre un mese dal rebooting della nostra compagnia, urge bilancio. Per noi che lavoriamo sull’intreccio fra creazione artistica, socialità e formazione attraverso teatro, danza e “media art”, infatti, la lotta si è subito articolata su diversi fronti. Prima di tutto abbiamo pubblicato un comunicato stampa dove (seguendo anche i ragionamenti qui su Giap) mettevamo in guardia su due approcci a nostro avviso poco convincenti che vedevamo profilarsi nel mondo teatrale: quello della rivendicazione corporativa e quello dell’asservimento all’#iorestoacasa (Qui il testo completo).
Poi siamo passati ai fatti e, a distanza di un mese, con le vele del reddito tristemente ammainate, possiamo dire che la compagnia prosegue la sua rotta! Con #teatroaporteaperte abbiamo avviato un piccolo format di varietà teatrale trasmesso in diretta dalla nostra pagina Fb e poi da quella del centro sociale Spartaco. Il format propone pillole di monologhi e performance registrate ma commentate in diretta con gli autori, intervallando rubriche artistiche e satiriche a interventi più politici o informativi. Per farlo ci siamo dotati di un programma di regia live che ha trasformato il salotto in uno studio televisivo ma che – a nostro avviso – ci aiuta a rendere le immagini (ontologicamente differite) più presenti e vive. Lo scopo è riproporre i principi di teatro popolare, conviviale, indipendente e “stiloso” della rassegna di quartiere che gestivamo, partendo appunto dal territorio ed estendendola a chi è più lontano. Lungi dal proporre un modello, dal 6 marzo suggeriamo a tutti/e di sperimentare forme “taumaturgiche” di teatro in rete per rimanere vigili e non vigilantes, raccontare, raccontarsi e scenarizzare l’emergenza. Mentre in molti dell’ambiente accusavano quelli come noi di narcisismo e ansia da prestazione, alcuni nostri colleghi si sono uniti alla combriccola, e il live è stato inserito all’interno di #ResistenzeContagiose, iniziativa di solidarietà dal basso coordinata dalla rete Cinecittà Bene Comune e composta da servizi gratuiti di consegna spesa, beni di prima necessità, sostegno legale e contributi culturali come il nostro.
Nel frattempo si sono riattivati anche i laboratori: quello degli adulti che ora si svolge on-line tramite esercizi di dizione e scrittura creativa guidati dalla mia partner-in-law Laura Garofoli (che ha davvero colto l’occasione per fare ricerca teorico-pratica sul rapporto fra media e teatro sociale) e quello dei bambini. In questo caso ci siamo coordinati con altre compagnie fra Lecce e Moncalieri e abbiamo pensato a una serie di contenuti da condividere settimanalmente nella piattaforma del progetto nazionale Storie Cucite a mano in cui siamo inseriti. Purtroppo questi contenuti non ci hanno permesso di ristabilire un vero e proprio “contatto” con gli alunni e gli insegnanti delle nostre scuole romane. L’idea era quella di proseguire i laboratori già avviati proponendo in video giochi sulla gestione delle emozioni e guide alla recitazione basate sui personaggi di Romeo & Giulietta ma… «non si può: dobbiamo dare priorità alla didattica», ci hanno risposto alcuni insegnanti.
E qui ci è balzata all’occhio la lotta eminentemente politica che bisogna condurre parallelamente a quella artistica e che nel “lavoro” trova il suo punto di convergenza. Finché non scioglieremo i nodi sul senso della cultura (cultura è… produzione o mantenimento del bene culturale? È spettacolo o intrattenimento? È risorsa territoriale o attrazione turistica? Upgrade cognitivo o vezzo intellettuale?); non porteremo all’attenzione i nervi scoperti del sistema produttivo (grandi compagnie che accedono al Fus tramite date subappaltate a piccole compagnie che, di rimando, risparmiano denaro ma non accrescono i curricula; spazi sociali che offrono spazio prove ad artisti che, a prodotto finito, vengono “comperati” dai grandi teatri) e non prenderemo di petto la già citata questione del riconoscimento come classe di lavoratori e lavoratrici a tempo indeterminato (nel senso di “tempi-non-determinati” poiché diluiti in tutte le dimensioni dell’esistenza, imposti dall’intermittenza della committenza, ecc.), queste situazioni saranno destinate a tornare e acuirsi nella famosa “fase 2” dell’emergenza. Non basterà riorganizzarsi per recuperare le date o le produzioni perdute. Perché, nell’ambiente lo sappiamo tutte e tutti, i soliti noti torneranno ad essere ancora più noti, le relazioni di potere fra direttori artistici e istituzioni saranno mantenute, l’accesso ai finanziamenti sarà sempre per pochi.
Se il “sottobosco” del teatro italiano, quello fatto da compagnie e teatri indipendenti e non amatoriali che lavorano a stretto contatto con i territori, li sentono pulsare e li trasformano e – a volte – ne pagano anche le conseguenze con furti, mancanze di tutele e sgomberi, se quel sottobosco non si fa sentire sarà dura. Credo che la crisi da “distanziamento fisico” che si sta già manifestando, ci dia l’opportunità per rilanciare questo tipo di teatro, sgonfiando quell’altro teatro che si è trincerato dietro i grandi palchi, gli abbonamenti o i festival usa-e-getta. Per farlo bisognerà riprendersi prima di tutto le strade, poi i palcoscenici: perché è lì che si intercettano reali contraddizioni del reale e perché le strade vuote, storicamente, non hanno portato a mai nulla di buono. E perché il tempo dell’attesa non è finito, perché non è mai iniziato. Poi occorrerà essere presenti sul territorio e per il territorio, attivarsi, sporcarsi le mani e rizzare le antenne. E ci vorrà cooperazione e curiosità reciproca (fra teatranti ma anche fra settori culturali) per resistere e non mollare al primo bau bau. Il teatro, diceva qualcuno, è lo spazio della «qualità delle relazioni» e se ci impediranno di relazionarci alla luce del sole, saremo pronti a lottare. A lottare per un teatro clandestino.
Nexus
COMUNICATO POLITICO del 15/03/2020
Il 6 marzo, seguendo la raccomandazione ministeriale di promuovere attività alternative rispetto a quelle interdette, avevamo proposto di organizzare piccoli spettacoli domiciliari e training autogestiti all'aperto nel rispetto delle norme vigenti. Non ci aspettavamo che in soli 4 giorni si emanassero 3 Dpcm che proibissero progressivamente ogni forma di socialità. Perciò, nel rispetto della nuova normativa, abbiamo cambiato responsabilmente rotta. Il nostro orientamento però rimane lo stesso: battiamo i denti ma non chiudiamo i battenti. Non potendo aprire le porte fisiche, apriamo quelle ethernet (un altro modo per intendere #teatroaPorteaperte) perché crediamo nel potere taumaturgico del condividere e fare cultura, a maggior ragione quando si vive in regime di isolamento. Certo, «Il teatro senza pubblico» - direbbe Grotowski - «nun se po' sentì!». La nostra non è una proposta risolutiva, ma una soluzione lenitiva per attivare forme di resistenza alla gestione emergenziale della pandemia.
Sì, perché dopo gli appelli condivisi a stron battuto sulla necessità di «starsene a casa» senza sé e senza ma come «responsabilità individuale» di ogni cittadino, sta guadagnando lentamente strada il concetto old-school, ma ben più solidale, di «resistenza». Come scrivevamo il 6 marzo, la retorica dell’auto-isolamento asservito alla norma di stato non ci convinceva e infatti non ha retto. Non ha retto sui social, scatenando aggressività, fake news, delazioni, invocazioni all’autoritarismo e ipocrisie, prima fra tutti quella dei vip dai conti in banca milionari, che diffondevano l’hashtag #iostoacasa dallo sfarzo delle loro ville fuori città. E infatti non ha retto chi è tornato a casa per paura di passare la quarantena isolato dalla famiglia o in cinque sotto a un gabinetto. Non hanno retto i carcerati e carcerieri, isolati ma accalcati senza tutele sanitarie. Non hanno retto i lavoratori e lavoratrici che avrebbero voluto stare a casa ma la legge imponeva loro di non farlo: pendolari ammassati su carri bestiame ferroviari e operai stretti fra le maglie della catena di montaggio, ma anche fattorini, riders e magazzinieri che per «necessità imposta» continuavano a servire colossi come Amazon o Just Eat per garantirsi almeno un piatto di lenticchie. Non ha retto il governo (che prima chiude le scuole poi i centri anziani, prima i teatri poi i risto-pub), governatori e sindaci (che, come De Luca in Campania, minacciano di «neutralizzare» chi passeggia e , come a Bari, chiudono i parchi con fare sceriffesco) e di conseguenza non hanno retto e non reggeranno le forze dell’ordine (che si trovano a maneggiare con sempre maggior autoritarismo istruzioni terminologicamente e giuridicamente contradditorie, e a discrezione personale multano i piccoli commercianti per vendita di articoli proibiti, ma non i supermercati zeppi di merci inutili). E non abbiamo retto noi, che già vivevamo isolati nelle baraccopoli e in alloggi di fortuna, nelle case famiglia o nelle famiglie incasinate, nei seminterrati e nei casermoni popolari senza Netflix e wi-fi, e che in casa - altro che vacanza! - giorno dopo giorno ci scopriamo rinchiusi in un dedalo di oppressione fisica e mentale.
Occorre resistere alla pandemia, ma soprattutto resistere all’emergenza costruita sul pericolo della pandemia. Un pericolo reale, ma che si è corazzato di realismo politico. Perché disporsi in attesa non si traduca in attendere le disposizioni. Perché l’ingiunzione a restare, non diventi ansia da stazionamento. Essere vigili, non vigilantés, in uno stato d’emergenza che sta velocemente (e incongruentemente) sospendendo e riconfigurando diritti ritenuti inviolabili e potrebbe farlo ancora, e meglio. Resistiamo all’epidemia (stando a casa a leggere, disegnare, guardare film e chattando con amici e parenti) ma resistiamo all’emergenzialità esercitando il nostro diritto di lotta e critica al potere, affinché il conto di questa emergenza non lo paghino solo i morti ma anche i sopravvissuti del piano terra della scala sociale. Per farlo non c’è una ricetta: ognuno può farlo a modo suo, noi lo facciamo col teatro.
«I’m a fuckin dreamer, man… but i’m not the only one». ... See more